Monday, October 30, 2006
Sunday, October 22, 2006
"America drops, Asia shops"...are you sure, Sir?
Così titola il nuovo numero dell'ECONOMIST dando l'avvio, sulla piazza mediatica globale, alle previsioni su come l'Economia mondiale reagirà alla frenata degli STATI UNITI.
Già nel titolo c'è una notizia. Mentre fior fiori di economisti e editorialisti stanno discutendo se il calo dei prezzi immobiliari sia l'inizio di un rallentamento statunitense (dopo anni di vacche grasse), l'ECONOMIST lo dà già per scontato e, addirittura, adombra la possibilità di una fase recessiva per la fine del 2007.
Ammetto di provare un leggero compiacimento dato che, chi mi conosce, sa quanto stia sostenendo da tempo (anche da questo blog) l'ineluttabilità di un rallentamento degli STATI UNITI.
Tuttavia, l'identità di vedute tra me e l'ECONOMIST finisce qui (scusate se mi metto allo stesso livello dell'ECONOMIST ma ormai sono ebbro di scalfariana auto-referenzialità...il tempo di un post...).
Con una certa fermezza, la rivista britannica sviluppa la tesi secondo la quale l'Economia mondiale, questa volta, farà a meno della "locomotiva STATI UNITI". La panacea di tutti i mali sarebbe il crescente livello della domanda interna asiatica che porterà a sostituire, come attivatore della Crescita, il "consumatore a stelle e strisce" con il "consumatore giallo".
Ma scorriamo gli argomenti della tesi (pagg. 81-83 della rivista).
1) IN TERMINI DI "PARITA' DI POTERE D'ACQUISTO", NEGLI ULTIMI 5 ANNI L'AMERICA HA CONTATO SOLO PER IL 13% DELLA CRESCITA DEL PIL GLOBALE.
L'ECONOMIST sottolinea con forza che questo parametro è più affidabile di quello calcolato in termini del valore assoluto in "dollari correnti" (in questo caso il contributo dell'America sarebbe al 19%), dato che con un dollaro in VIETNAM si compra molto di più che con un dollaro negli STATI UNITI.
Vero ma...che cosa si compra in VIETNAM con un dollaro?
Ho trascorso un anno e mezzo della mia vita in Argentina quando il peso aveva un valore pari a un terzo dell'euro. Andavo a lavoro con le polo LACOSTE comprate a 90 pesos quando in Italia costavano 99 euro (nelle svendite). Per l'Argentina ero "ok" ma per l'Italia mia madre avrebbe impiegato una semplice occhiata per capire che ero stato "fregato". Infatti, forse a causa della qualità del cotone, la mia LACOSTE argentina al terzo lavaggio di lavatrice assomigliava ad una t-shirt comprata al mercatino americano di Livorno.
Ciò che voglio affermare è che non conta solo quanti soldi hai e spendi, ma quanto "valore" acquisti...e, spesso, il valore, anche a parità di prezzo, non è uniforme.
2) E' VERO CHE LE ESPORTAZIONI CINESI RAPPRESENTANO IL 40% DEL PIL MA HANNO UNA FORTE COMPONENTE D'IMPORT; SOLO UN 25% DEL VALORE ESPORTATO E' AGGIUNTO LOCALMENTE.
Anche in questo caso non si può prescindere dalla "qualità" del numero. L'import cinese è in gran parte import di materie prime (dal Sud America e dall'Africa) che consentono di costruire e assemblare proprio quei manufatti esportati in Occidente. Per questi tipi di prodotto, il tasso di elasticità tra domanda e offerta è alto ed è molto facile passare nel giro di qualche mese a una caduta verticale del loro valore (...e del PIL). Anche se la domanda interna cinese rimane alta, è tutto da dimostrare se il "valore" di ciò che i cinesi comprano rimane stabile.
3) LA RAGIONE PRINCIPALE PER CUI IL TASSO TOTALE DI RISPARMIO DELLA CINA APPARE COSI' ALTO E' PERCHE' LE AZIENDE CINESI HANNO RISPARMIATO UNA FETTA MOLTO PIU' GRANDE DEI LORO "BOOMING PROFITS".
Ma si è chiesto l'ECONOMIST come la Cina stia effettivamente investendo il surplus di liquidità che si ritrova a gestire?
Per rispondere alla domanda mi appoggerò al parere di JIM JUBAK che, sulle pagine di http://moneycentral.msn.com/home.asp, ha cercato di rispondere alla domanda.
"Investire bene" significa mettere i dollari in qualcosa che ti dia un adeguato tasso di ritorno.
Alcuni indicatori importanti, ci dicono che questo non sta succedendo. La Cina sta investendo in "carrozzoni statali" , sul mattone selvaggio e in sovracapacità produttiva (come nel caso dell'industria dell'acciaio). Errori tipici di un Capitalismo giovane.
Se la crescita mondiale dovesse frenare, questa enorme quantità di "Capitale fisso" peserà moltissimo sui cinesi.
Mi permetto di fare un esempio terra terra che rende bene l'idea.
Durante il boom economico "a debito" degli anni '80, mio padre ha investito molto nel mattone, al di sopra delle reali necessità della famiglia. Durante questi anni di "vacche magre", l'investimento fatto si è rivelato una continua fonte di esborsi, insostenibili in un quadro famigliare fatto di lavoratori dipendenti. Si è dovuto "svendere" per far rimanere stabile il tenore di vita....però il capitale ha perso valore.
Friday, October 20, 2006
E' ora di dire qualcosa di scomodo.
Thursday, October 05, 2006
IlSole24Ore: che pena....
Tuesday, October 03, 2006
TELECOM ITALIA: il mito del cash-flow
- TELECOM Italia dichiara un debito netto di 41,3 miliardi di euro nella relazione semestrale dello scorso 11 settembre 2006 (la recente FINANZIARIA del GOVERNO PRODI ammonta ad un valore stimato di 33,4 miliardi di euro)
- Le VENDITE ammontano a 15,3 miliardi di euro
- L'EBITDA è ad un livello di 6,5 miliardi di euro
- L'EBIT è a 3,8 miliardi di euro
- Il rapporto EBIT / VENDITE è pari al 24,8%
- Il rapporto EBITDA / VENDITE è pari al 42,4%
Il punto 5. ci dice che l'Azienda crea un valore aggiunto pari a circa il 25% delle sue vendite. Non ho fatto un'analisi di benchmark nè un'analisi dell'evoluzione a storico e, quindi, potrei sbagliarmi. Tuttavia mi sembra un buon valore.
Il problema è che, ipotizzando vendite costanti nell'arco dell'anno, l'EBIT è pari a solo il 18% (3,8*2/41,3) del debito netto!!!! Bisogna mungerne di vacche per poter ritornare ad una situazione di relativa stabilità!!!*
Il problema è che mungere le vacche non è più così semplice come nel passato.
Il mercato delle telecomunicazioni è diventato molto difficile.
Per esempio: qualche lettore sa indicarmi quale sia la tecnologia vincente, ammesso che ci sia, tra parabola, wireless, digitale terrestre, telefonia mobile, cavo elettrico, cavo ottico e....doppino telefonico? Si aggiunga l'ulteriore variabile dei vari "protocolli" utilizzabili che aumentano a dismisura le possibili soluzioni.
In un quadro di questo tipo, le aziende di telecomunicazioni sono chiamate a forti investimenti, accettando anche eventuali fallimenti, al fine di trovarsi pronte a fronteggiare la domanda. Ma tale esigenza implica un profilo aziendale tipico di una holding grande (ma questo la TELECOM Italia lo è) e continuamente disposta a investire nelle nuove tecnologie.
Secondo voi, con il debito che ha, la TELECOM Italia è in grado di investire in R&D?
Secondo me, no. Anche se si mette a ripianare il debito, l'Azienda perderà alcuni anni che, in un mercato come quelle delle telecomunicazioni, possono essere secoli. Il Tronchetti Provera si trova ad avere tra le mani una bella patata bollente. Nel giro di pochi mesi le VENDITE potrebbero drammaticamente ridursi e la I, la D e la A dell'EBITDA potrebbero drammaticamente aumentare.
Si aggiunga che Tronchetti Provera non ha il profilo di un industriale ma, forse, quello di un finanziere. E questo, per qualche serio investitore, rende le cose ancora più preoccupanti.
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*Alcuni analisti ritengono che un piano di rientro di 5 anni non è una situazione preoccupante. Io non sono d'accordo e lo spiego nel seguito del post.