"America drops, Asia shops"...are you sure, Sir?
"Why the American slowdown won't stop the world".
Così titola il nuovo numero dell'ECONOMIST dando l'avvio, sulla piazza mediatica globale, alle previsioni su come l'Economia mondiale reagirà alla frenata degli STATI UNITI.
Già nel titolo c'è una notizia. Mentre fior fiori di economisti e editorialisti stanno discutendo se il calo dei prezzi immobiliari sia l'inizio di un rallentamento statunitense (dopo anni di vacche grasse), l'ECONOMIST lo dà già per scontato e, addirittura, adombra la possibilità di una fase recessiva per la fine del 2007.
Ammetto di provare un leggero compiacimento dato che, chi mi conosce, sa quanto stia sostenendo da tempo (anche da questo blog) l'ineluttabilità di un rallentamento degli STATI UNITI.
Tuttavia, l'identità di vedute tra me e l'ECONOMIST finisce qui (scusate se mi metto allo stesso livello dell'ECONOMIST ma ormai sono ebbro di scalfariana auto-referenzialità...il tempo di un post...).
Con una certa fermezza, la rivista britannica sviluppa la tesi secondo la quale l'Economia mondiale, questa volta, farà a meno della "locomotiva STATI UNITI". La panacea di tutti i mali sarebbe il crescente livello della domanda interna asiatica che porterà a sostituire, come attivatore della Crescita, il "consumatore a stelle e strisce" con il "consumatore giallo".
Ma scorriamo gli argomenti della tesi (pagg. 81-83 della rivista).
1) IN TERMINI DI "PARITA' DI POTERE D'ACQUISTO", NEGLI ULTIMI 5 ANNI L'AMERICA HA CONTATO SOLO PER IL 13% DELLA CRESCITA DEL PIL GLOBALE.
Così titola il nuovo numero dell'ECONOMIST dando l'avvio, sulla piazza mediatica globale, alle previsioni su come l'Economia mondiale reagirà alla frenata degli STATI UNITI.
Già nel titolo c'è una notizia. Mentre fior fiori di economisti e editorialisti stanno discutendo se il calo dei prezzi immobiliari sia l'inizio di un rallentamento statunitense (dopo anni di vacche grasse), l'ECONOMIST lo dà già per scontato e, addirittura, adombra la possibilità di una fase recessiva per la fine del 2007.
Ammetto di provare un leggero compiacimento dato che, chi mi conosce, sa quanto stia sostenendo da tempo (anche da questo blog) l'ineluttabilità di un rallentamento degli STATI UNITI.
Tuttavia, l'identità di vedute tra me e l'ECONOMIST finisce qui (scusate se mi metto allo stesso livello dell'ECONOMIST ma ormai sono ebbro di scalfariana auto-referenzialità...il tempo di un post...).
Con una certa fermezza, la rivista britannica sviluppa la tesi secondo la quale l'Economia mondiale, questa volta, farà a meno della "locomotiva STATI UNITI". La panacea di tutti i mali sarebbe il crescente livello della domanda interna asiatica che porterà a sostituire, come attivatore della Crescita, il "consumatore a stelle e strisce" con il "consumatore giallo".
Ma scorriamo gli argomenti della tesi (pagg. 81-83 della rivista).
1) IN TERMINI DI "PARITA' DI POTERE D'ACQUISTO", NEGLI ULTIMI 5 ANNI L'AMERICA HA CONTATO SOLO PER IL 13% DELLA CRESCITA DEL PIL GLOBALE.
L'ECONOMIST sottolinea con forza che questo parametro è più affidabile di quello calcolato in termini del valore assoluto in "dollari correnti" (in questo caso il contributo dell'America sarebbe al 19%), dato che con un dollaro in VIETNAM si compra molto di più che con un dollaro negli STATI UNITI.
Vero ma...che cosa si compra in VIETNAM con un dollaro?
Ho trascorso un anno e mezzo della mia vita in Argentina quando il peso aveva un valore pari a un terzo dell'euro. Andavo a lavoro con le polo LACOSTE comprate a 90 pesos quando in Italia costavano 99 euro (nelle svendite). Per l'Argentina ero "ok" ma per l'Italia mia madre avrebbe impiegato una semplice occhiata per capire che ero stato "fregato". Infatti, forse a causa della qualità del cotone, la mia LACOSTE argentina al terzo lavaggio di lavatrice assomigliava ad una t-shirt comprata al mercatino americano di Livorno.
Ciò che voglio affermare è che non conta solo quanti soldi hai e spendi, ma quanto "valore" acquisti...e, spesso, il valore, anche a parità di prezzo, non è uniforme.
2) E' VERO CHE LE ESPORTAZIONI CINESI RAPPRESENTANO IL 40% DEL PIL MA HANNO UNA FORTE COMPONENTE D'IMPORT; SOLO UN 25% DEL VALORE ESPORTATO E' AGGIUNTO LOCALMENTE.
Anche in questo caso non si può prescindere dalla "qualità" del numero. L'import cinese è in gran parte import di materie prime (dal Sud America e dall'Africa) che consentono di costruire e assemblare proprio quei manufatti esportati in Occidente. Per questi tipi di prodotto, il tasso di elasticità tra domanda e offerta è alto ed è molto facile passare nel giro di qualche mese a una caduta verticale del loro valore (...e del PIL). Anche se la domanda interna cinese rimane alta, è tutto da dimostrare se il "valore" di ciò che i cinesi comprano rimane stabile.
3) LA RAGIONE PRINCIPALE PER CUI IL TASSO TOTALE DI RISPARMIO DELLA CINA APPARE COSI' ALTO E' PERCHE' LE AZIENDE CINESI HANNO RISPARMIATO UNA FETTA MOLTO PIU' GRANDE DEI LORO "BOOMING PROFITS".
In questo caso, l'ECONOMIST cerca di dimostrare che non è vero che il "consumatore giallo" risparmi a discapito della Crescita economica mondiale. I valori sono "sporcati" dagli alti investimenti in "capitale fisso" delle Aziende cinesi.
Ma si è chiesto l'ECONOMIST come la Cina stia effettivamente investendo il surplus di liquidità che si ritrova a gestire?
Per rispondere alla domanda mi appoggerò al parere di JIM JUBAK che, sulle pagine di http://moneycentral.msn.com/home.asp, ha cercato di rispondere alla domanda.
Ma si è chiesto l'ECONOMIST come la Cina stia effettivamente investendo il surplus di liquidità che si ritrova a gestire?
Per rispondere alla domanda mi appoggerò al parere di JIM JUBAK che, sulle pagine di http://moneycentral.msn.com/home.asp, ha cercato di rispondere alla domanda.
Quando hai a disposizione molta liquidità (dollari provenienti dalle esportazioni e dagli investimenti overseas), devi saperli investire bene altrimenti rischi di buttarli al vento.
"Investire bene" significa mettere i dollari in qualcosa che ti dia un adeguato tasso di ritorno.
Alcuni indicatori importanti, ci dicono che questo non sta succedendo. La Cina sta investendo in "carrozzoni statali" , sul mattone selvaggio e in sovracapacità produttiva (come nel caso dell'industria dell'acciaio). Errori tipici di un Capitalismo giovane.
Se la crescita mondiale dovesse frenare, questa enorme quantità di "Capitale fisso" peserà moltissimo sui cinesi.
Mi permetto di fare un esempio terra terra che rende bene l'idea.
Durante il boom economico "a debito" degli anni '80, mio padre ha investito molto nel mattone, al di sopra delle reali necessità della famiglia. Durante questi anni di "vacche magre", l'investimento fatto si è rivelato una continua fonte di esborsi, insostenibili in un quadro famigliare fatto di lavoratori dipendenti. Si è dovuto "svendere" per far rimanere stabile il tenore di vita....però il capitale ha perso valore.
"Investire bene" significa mettere i dollari in qualcosa che ti dia un adeguato tasso di ritorno.
Alcuni indicatori importanti, ci dicono che questo non sta succedendo. La Cina sta investendo in "carrozzoni statali" , sul mattone selvaggio e in sovracapacità produttiva (come nel caso dell'industria dell'acciaio). Errori tipici di un Capitalismo giovane.
Se la crescita mondiale dovesse frenare, questa enorme quantità di "Capitale fisso" peserà moltissimo sui cinesi.
Mi permetto di fare un esempio terra terra che rende bene l'idea.
Durante il boom economico "a debito" degli anni '80, mio padre ha investito molto nel mattone, al di sopra delle reali necessità della famiglia. Durante questi anni di "vacche magre", l'investimento fatto si è rivelato una continua fonte di esborsi, insostenibili in un quadro famigliare fatto di lavoratori dipendenti. Si è dovuto "svendere" per far rimanere stabile il tenore di vita....però il capitale ha perso valore.
Il punto 3) nasconde un ulteriore problema, a me molto caro. L'investimento in "carrozzoni statali" è spesso un investimento obbligato affinchè il partito comunista continui a mantenere le sue posizioni di forza. E' la grande contraddizione del Capitalismo in "salsa gialla" per la quale l'Occidente non è esente da colpe.
Sono convinto che lo stato totalitario non può convivere con il Capitalismo diffuso. Per adesso la Cina mi ha smentito ma prima o poi i nodi verranno al pettine.
Non è da escludere che una crisi economica e monetaria genererà dei tumulti interni molto forti e difficili da controllare.
Per quanto sopra, nutro forti dubbi sulla visione ottimistica dell'ECONOMIST.
Il tempo è galantuomo e dirà se avranno avuto ragione i consiglieri economici della rivista o i "doomsayers" come JUBAK.
Io sono dalla parte di quest'ultimi.
Anche perchè, volendo essere maligni, ho l'impressione che qualcuno presso la CITY londinese incominci a porsi il problema di come scaricare dal proprio portafoglio alcuni "investimenti cinesi".
Passo nr. 1: un articolo ben confezionato su una rivista autorevole per rassicurare i risparmiatori.
A buon intenditor....
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fonti:
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Stamattina mi sono accorto che gli aggregatori di TOCQUE-VILLE avevano pubblicato il mio post prima della mia segnalazione. Purtroppo il post ancora non era chiuso e l'ho modificato. Chiedo scusa con i lettori per il mio errore. Ringrazio TOCQUE-VILLE per la solerte attenzione dedicata al mio blog.
4 Comments:
L'Economist si è anche dimenticato di dire che i 1000 miliardi di dollari in moneta forte statunitense incamerati in questi anni, hanno spinto la Banca Centrale Cinese ad elargire troppi crediti rispetto alle garanzie inesigibili accumulate. Il che significa che alla fine i troppi crediti dati stanno strozzando l'economia cinese, che risente come dici tu di inesperienza. l'economia Cinese ha tutto il peggio del capitalismo in se, puntando tutto sull'entrateiment interno, senza guardare alle reali condizioni di vita dei suoi cittadini: "falli divertire che a farli pensare ci pensiamo noi." Infatti anche l'economia Cinese sta sull'orlo del precipizio. E di qualche tempo fa l'assenso (dopo tentennamenti) della Banca Centrale Cinese ad alzare il costo della sua moneta nel Fondo Monetario Internazionale, sospinta anche dagli Stati Uniti. In questo modo non solo i Cinesi riusciranno a salvare il salvabile (forse) con gli interessi sui crediti, ma permetteranno agli americani di respirare, causa l'export selvaggio a bassi costi dei Cinesi, che indubbiamente risentono del "problema qualità" che hai appena enunciato tu.
Bel post cmq, ciao.
Il livello delle riserve valutarie della cina comunista sono una conseguenza, non una causa, delle politiche di credito e di quelle vlautarie.
Che sia una bolla o meno, l'aumento della domanda interna asiatica - non soltanto cinese - non può che essere positivo in questa fase: ricordiamoci che anche gli USA soffrono di seri squilibri, una bolla che possono essere corretti attrverso un rallentamento della crescita dei consumi nordamericani o comunque da comportamenti che aumentino il tasso di risparmio interno; questa correzione avverrà , che il resto del mondo lo voglia o no.
Meglio a questo punto che vi sia qualcuno disponibile ad acquistare i prodotti di almeno una parte degli eccessivi investimenti cinesi - e chi meglio degli asiatici stessi?
La mia visione della situazione macroeconomica internazionale è Austriaca.
1. Le politiche monetarie USA implicano eccesso di consumo e difetto di risparmi.
2. Per finanziare il consumo, gli USA si indebitano col resto del mondo.
3. Si ha quindi un eccesso di investimenti inflazionistici a livello globale, tenuto insieme dal continuo aumento dell'offerta di moneta.
4. A differenza delle altre fasi inflazionistiche (non in termini di prezzi ma di M#), questa è "aperta", proprio perchè il debito va all'esterno degli USA.
5. Gli USA consumano gratis, ma si indebitano. I cinesi crescono grazie ai pelouche dei bambini americani. Tutti questi investimenti sono sbagliati e provocano squilibri. Tutta la globalizzazione moderna è fallata dall'irrazionalità delle politiche mnetarie.
6. Finchè dura, e, in un sistema non basato sull'oro, può durare decenni, ci sarà crescita globale, bassi prezzi, iperindustrializzazione in Cina, parziale deindustrializzazione negli USA, montagne di debiti.
7. Presto o tardi, gli USA avranno tanti debiti, pochi capitali, e poca rilevanza strategica rispetto alla Cina. E allora saranno ca$$i per tutti.
8. Se il tutto crolla subito, a pagare saranno quasi per intero i cinesi, perchè in caso di crisi sono le zone della produzione ipercapitalizzate a pagare l'eccesso di investimento.
Il 99% degli economisti spera che la transizione sarà lenta e graduale. Io ho più fiducia nel 1% degli economisti rimanenti.
Io auspico la weimarizzazione del dollaro il più presto possibile, per evitare che quando accadrà sarà troppo tardi. Tanto non ci sono modi per evitarla: meno consumi negli USA, più consumi nel resto del mondo... è possibile un soft landing verso una struttura macroeconomica più razionale? A giudicare dalla montagna di dollari, dall'instabilità geopolitica, dalla montagna di debiti americani e dalla crescita econmica e politica cinese, direi di no.
Grande analisi.....complimenti
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